Autore: Tommaso Adami
Lo humour è forse una delle espressioni più interessanti e uniche di una lingua, oltre che un elemento fondamentale per meglio comprendere le diverse culture e il particolare uso che queste ne fanno.
Tuttavia, essendo appunto lo humour, con tutte le sue declinazioni, strettamente legato alla cultura di un Paese, non è sempre così scontato riuscire a trasporlo in una lingua diversa da quella nella quale è stato originariamente concepito.
Più che mai, quindi, il professionista incaricato di tradurre o interpretare una barzelletta, o anche una semplice battuta, deve essere estremamente abile nel trovare il giusto equilibrio tra fedeltà rispetto all’originale e resa comica nella lingua d’arrivo. Ed è comprensibile capire perché, anche in questo caso, sia necessario fare una netta distinzione tra interpretariato e traduzione.
Cos’è l’umorismo?
Prima di cominciare, però, mi sembra doveroso capire che cos’è veramente l’umorismo, e condivido quindi con i miei lettori la simpatica definizione di questo lemma così come appare nel Sabatini Coletti.
Il dizionario, infatti, definisce l’umorismo come “una disposizione dell’animo a cogliere gli aspetti divertenti o grotteschi della realtà e a sorriderne con ironica comprensione”.
E da interprete e traduttore quale sono, non posso che soffermarmi sull’ultima parola di questa definizione.
Ancora una volta, nel nostro mestiere, al centro di tutto sta proprio la comprensione: prima di tradurre o interpretare una battuta, ci è infatti richiesto di comprenderla, a fondo e in tutte le sue sfaccettature. Innanzitutto, dobbiamo semplicemente capirla e quindi determinare a dove attingano le sue radici culturali; in secondo luogo, è fondamentale sapere come (ovvero con che tono o intenzione) è stata espressa e perché è stata fatta in una determinata situazione; e, solo alla fine, possiamo permetterci di pensare a come trasporla fedelmente in un’altra lingua (e quindi cultura) senza travisarne il senso e suscitando lo stesso effetto sul pubblico o lettore che sia.
Ovviamente, sebbene questo delicato compito possa rivelarsi arduo tanto per un traduttore quanto per un interprete, il secondo ha meno di una manciata di secondi a disposizione per adottare la soluzione migliore.
Lo humour per rompere il ghiaccio
Capita spesso che, per rompere il ghiaccio, in occasione di una conferenza, l’oratore decida di iniziare il suo discorso proprio con una battuta.
Solitamente, sono queste le situazioni in cui tradurre lo humour riesce più facile all’interprete.
Infatti, è piuttosto improbabile che un oratore incominci il suo discorso con una vera e propria barzelletta, mentre è invece più plausibile che il suo icebreaker faccia riferimento a un episodio della sua giornata, magari perché ospite in un Paese straniero del quale ha notato qualcosa d’insolito o di diverso che ritiene potrebbe divertire il suo audience.
Attenzione, però: è fondamentale anche qui conoscere le caratteristiche della cultura di origine dell’oratore, cercando di indovinare quali siano le cose che più lo hanno colpito nel Paese in cui si trova.
Molti oratori del nord Europa ospiti in Italia sono ad esempio soliti sottolineare l’abissale differenza metereologica o culinaria che notano rispetto alla loro madrepatria, così come un tedesco o uno svizzero potrebbero invece scherzare sul traffico caotico e disorganizzato delle nostre grandi città.
Quando lo humour si presenta in questa forma, per l’interprete sarà sufficiente tradurre il messaggio in maniera piuttosto letterale, ponendo comunque grande attenzione al tono di voce, così che il pubblico possa comprendere chiaramente che si tratta di una battuta.
È tutta un’altra storia, invece, quella che riguarda le barzellette.
Questo particolare tipo di humour, infatti, affonda spesso le radici nella cultura a tal punto da diventare quasi intraducibile.
Se, infatti, la manifestazione del riso è universale e uguale in tutto il mondo, lo stesso non vale per lo stimolo che la genera.
Poniamo, ad esempio, che io mi trovi in cabina a tradurre dall’italiano verso l’inglese, e che un oratore con poca coscienza culturale decida all’improvviso di raccontare una freddura sui carabinieri.
Perché mai il pubblico anglofono dovrebbe trovare divertente la storiella di “two Italian gendarmes” che non sanno avvitare una lampadina?
Sebbene sappia che gli inglesi amano scherzare in maniera analoga con gli scozzesi, preferisco non mettermi in una situazione potenzialmente scomoda trasformando i due gendarmi in uomini in kilt.
Infatti, l’oratore non sta affatto prendendo in giro gli scozzesi, e inoltre non ho la garanzia che non ve ne siano tra il pubblico.
Come interprete, opterei quindi per una brevissima spiegazione da fare prima o dopo aver tradotto la freddura, qualcosa come “In Italy we often joke about our gendarmes being naïve since they always patrol the streets in pairs”.
La risata della sala, probabilmente, non sarà così plateale come lo sarebbe quella di un pubblico italiano, ma noi abbiamo fatto del nostro meglio considerando la difficoltà e il poco tempo a disposizione.
Qualora l’interprete dovesse invece captare che la battuta si basa su un gioco di parole troppo language-specific, e che trasporla nella lingua d’arrivo sarebbe troppo macchinoso, può sempre riservarsi la facoltà di comunicarlo ai suoi ascoltatori in tutta onestà, sperando che l’oratore cambi discorso al più presto.
Dopotutto, una spiegazione prolissa e arzigogolata farebbe perdere l’elemento a sorpresa finale, indispensabile alla riuscita della battuta e quindi al riso del pubblico. E allora, perché tradurla?
Ma possono anche capitarci situazioni impreviste, o addirittura oratori che amano scherzare… alla loro maniera.
Durante gli anni della laurea magistrale, molti professori che lavoravano come interpreti nel mondo delle istituzioni politiche italiane e internazionali, erano soliti raccontarci dell’alone di terrore che incombeva sulle cabine di simultanea quando si sapeva che Silvio Berlusconi avrebbe preso parola in aula.
Il nostro ex presidente del Consiglio, infatti, è tristemente noto in tutto il mondo per il suo peculiarissimo senso dello humour, che spesso, oltre a non sortire nel pubblico l’effetto desiderato, mette in grande imbarazzo i suoi interpreti.
È tuttavia risaputo che, quando ci troviamo in cabina, sebbene possiamo trovare una battuta infelice, offensiva o semplicemente inadeguata, non abbiamo davvero scelta: dobbiamo infatti tradurla così come l’abbiamo ascoltata, e non potremo fare altro che scuotere amaramente la testa quando vedremo la reazione agghiacciata dei nostri ascoltatori.
E nella traduzione scritta?
Per quanto riguarda invece la traduzione scritta, possiamo servirci di tecniche totalmente differenti per aiutare il lettore straniero a comprendere lo humour.
Con la lingua scritta, infatti, possiamo permetterci di tradurre le battute in maniera letterale, per poi rimandare il lettore alle note a piè di pagina servendoci della famosa dicitura ndt, che sta appunto per “nota del traduttore”.
Riprendendo l’esempio della battuta sui carabinieri, un traduttore potrebbe dilungarsi di più rispetto a quanto fatto dal suo collega interprete nella cabina di simultanea, in modo da aiutare il lettore straniero a capire come mai, in Italia, ci piace scherzare bonariamente sull’ingenuità dei nostri gendarmi.
Va qua fatto notare che la stessa identica situazione potrebbe presentarsi anche in altre culture, qualora stessimo traducendo ad esempio il testo o il discorso di un brasiliano che prende in giro gli storici antagonisti portoghesi, o di un tedesco che si fa beffa della goffa parlata degli svizzeri.
Lo humour nell’audiovisivo
Infine, accennerò solamente che è una situazione ancora differente quella che riguarda la traduzione volta al sottotitolaggio o al doppiaggio di una sitcom o di un film comico.
In questo caso, infatti, entrano in gioco dei vincoli temporali ben più rigidi rispetto a quelli cui deve far fronte un interprete e, purtroppo, bisogna spesso arrendersi al fatto che, se non si dovessero addirittura perdere nella traduzione, determinate battute non renderanno allo stesso modo nella lingua di arrivo.
Come tradurre lo humour?
Insomma, è chiaro che la conoscenza delle culture con le quali stiamo lavorando sia al centro di tutto.
Bisogna poi conoscere il proprio pubblico e sapere che tipo di linguaggio utilizzare, cercare di copiare il tono dell’originale e, specialmente nel caso degli interpreti, fare come sempre molta attenzione a non perdere neanche la più sottile sfumatura della battuta, freddura o barzelletta che stiamo traducendo.
Sarebbe infatti un peccato se, a seguito di una battuta brillante, l’oratore riscontrasse nel pubblico tutt’altra reazione rispetto a quella attesa, o ancora se solo metà del suo audience la trovasse divertente poiché l’ha compresa nella sua forma originale.
Ebbene, se già sapevate che per esercitare la professione d’interprete servono puntualità, freddezza, massima concentrazione, nervi di ferro, coscienza culturale e una vastissima cultura generale, ora potete aggiungere che anche un buon senso dell’umorismo potrebbe tornare utile.
Dopotutto, che c’è di male a stemperare lo stress del nostro mestiere con un sorriso?
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