
Autore: Tommaso Adami
Traduction en français: Federica Bonapace
Mi sento di cominciare con una verità. Anzi, due.
La prima è che, come succede a molti neomaturati, una volta terminato il liceo linguistico non avevo la più pallida idea di quale facoltà universitaria avrei scelto. Certo, volevo continuare a imparare, ma non sapevo esattamente cosa.
La seconda è che, quando mia madre mi parlò di una lontana cugina interprete e degli studi che aveva fatto, proponendomi il nome di una valida scuola che avrei potuto frequentare, acconsentii quasi immediatamente più per mancanza di alternative che per altre ragioni.
Dopotutto, parliamoci chiaramente: chi è che sa davvero cosa fa un interprete? Già che ci siamo, vi rivelo una terza verità: io ci ho messo quasi sei anni di studi a capirlo.
Inutile offendersi, dunque, quando qualcuno ti chiede quale sia il tuo lavoro e, una volta sentita la risposta, ti guarda con un po’ d’imbarazzo negli occhi e cerca di salvarsi in corner con una frase di circostanza del tipo: “Bello… e quindi, ti piace quello che fai?”.
Il mondo dell’interpretariato è, effettivamente, piuttosto misterioso.
E questo è buffo, perché gli interpreti sono pressoché ovunque, indispensabili nelle più grandi trattative diplomatiche mondiali come nella comunicazione tra un allenatore e un calciatore di nazionalità diverse, ma come presto si apprende sul campo, lavorano nell’ombra, pressoché invisibili agli occhi dei comuni mortali. Sebbene siano ovunque, è necessario sapere cosa fanno davvero per riuscire a vederli.
A causa di questa misteriosità insita, il nostro lavoro viene spesso confuso con altre figure professionali, esistenti o meno.
L’interprete è un vero e proprio enigma: pochi sanno cosa fa nel concreto, quasi nessuno conosce le diverse tecniche della professione e quasi tutti ignorano in cosa consiste la preparazione a una giornata di lavoro, allenamenti propedeutici inclusi.
Ma per chi, precisamente, veniamo scambiati?
Partendo dalle professioni reali, innanzitutto siamo scambiati per i nostri colleghi e amici traduttori.
La differenza tra queste due figure professionali è tanto ovvia quanto netta solo a chi è del settore, e in pochi conoscono l’aspetto fondamentale che distingue le due attività, ovvero che la traduzione è scritta, mentre il prodotto finale dell’interpretariato è puramente orale.
No, non è sufficiente né tantomeno corretto dire che il traduttore “traduce parola per parola”, mentre l’interprete “traduce il senso, in generale”. Spesso, infatti, capita ai traduttori di dover interpretare il significato di un passaggio prima di renderlo nella lingua d’arrivo, così come capita agli interpreti di ritrovarsi in situazioni in cui l’unica possibilità è quella di tradurre parola per parola nella target language.
In ogni caso, è doveroso sottolineare che, seppur lavorando in maniera completamente diversa, traduttori e interpreti sono accomunati dallo stesso obiettivo: massima precisione, fedeltà e attenzione al dettaglio, ad ogni momento.
Quindi, se neanche voi conoscevate la differenza tra interprete e traduttore, prendete nota e cercate di non dimenticarla. L’interprete, infatti, è una creatura tanto misteriosa quanto permalosa, e se c’è una cosa che non sopporta è proprio essere scambiato per il cugino di primo grado, il suo amico traduttore.
A parte questa comprensibile confusione tra traduzione scritta e orale, ci sono anche persone più creative, che ci affibbiano una professione che in realtà, e purtroppo, non è ancora stata inventata.
È questo ciò che ho pensato quando ho chiesto ai miei studenti di quarta liceo chi è e cosa fa esattamente l’interprete, e un ragazzo ha risposto così: “Il traduttore traduce tutto, parola per parola, l’interprete invece… ascolta un discorso, lo capisce, e poi dà la sua interpretazione al pubblico!”.
Siamo sinceri, non sarebbe bellissimo? Un interpretatore di messaggi infallibile, da avere sempre con noi, magari addirittura tascabile, per far fronte a difetti di pronuncia, inflessioni dialettali, messaggi subliminali o semplicemente spiegazioni o discorsi particolarmente contorti.
Sì, lo so, anche voi state pensando che potrebbe tornare utile con il vostro partner, o per capire davvero dove vanno a parare alcuni politici dei giorni nostri…
Scherzi a parte, è parzialmente vero sia che l’interprete “traduce il senso” del messaggio, sia che, in qualche modo, “dà la sua interpretazione” agli ascoltatori. Infatti, se l’interprete non si sforzasse per scovare il nucleo (ovvero il senso) di quanto detto dall’oratore e riproporlo nella maniera più fluida e corretta possibile nella lingua d’arrivo, la sua missione sarebbe pressoché impossibile.
E sebbene l’interprete, così come il traduttore, s’impegni a non aggiungere mai nulla di proprio al testo su cui sta lavorando, è vero che deve capire a fondo le intenzioni dell’oratore e cercare di imitarne le pause, le intonazioni e, soprattutto, le intenzioni. Se la guardiamo da questo punto di vista, il professionista sta effettivamente offrendo l’interpretazione di un messaggio.
Io, personalmente, ritengo che l’interprete sia un insieme di tante caratteristiche e professioni diverse.
Infatti, l’interprete è un ascoltatore professionista, un curioso e uno studente insaziabile, un linguista, un traduttore, un oratore e, per forza di cose, anche un attore e un istrione.
A differenza del cugino traduttore, l’interprete vive dell’adrenalina che solo le telecamere, i microfoni, i riflettori e i piccolissimi margini di errore ti possono dare.
Gli piace essere sempre al centro dell’azione, ascoltato da tutti i presenti in una sala gremita di pubblico e ringraziato dal presentatore alla fine di un’importante conferenza.
Tuttavia è al centro degli eventi pur tenendosi al contempo in disparte, quel tanto che basta per diventare invisibile, come per magia, agli occhi dei comuni mortali e non essere quindi al centro dell’attenzione.
E così, onnipresente e discreto, l’interprete agisce quotidianamente nei settori più disparati, creando ponti tra culture diverse, aiutando queste a preservare la propria lingua ma, soprattutto, permettendo a ognuno di esprimere il proprio messaggio nel modo che più lo fa sentire a suo agio.
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