Autore: Ilenia Montana
Noi colleghi di CIT abbiamo in più occasioni spiegato quale sia la formazione di un interprete e quanto essa sia importante. Anni e anni di studio, fatica e (possibilmente) esperienze all’estero. Riesci a laurearti, diventi Dottore in Interpretazione di Conferenza: corona di alloro, brindisi, festeggiamenti, congratulazioni. E’ sempre bello celebrare il raggiungimento di un traguardo e la realizzazione di un sogno. Ma come succede spesso nella vita, passata l’euforia iniziale a tutti sarà sorto spontaneo pensare: e adesso?
In generale, tutti o almeno la nostra generazione (quella nata negli anni ‘90) si è trovata un po’ persa dopo la Laurea, poiché viviamo in un’epoca in cui ahimè la pergamena non ti assicura più un lavoro. Se a prescindere è quindi difficile capire come piazzarsi nel mondo lavorativo…sapete quali sono le strade che un interprete può intraprendere? Infinite! Meraviglioso starete pensando? Si ma allo stesso tempo no..
Se ci pensate bene, un interprete potrebbe essere necessario in qualsiasi contesto della vita, da una persona russa che deve andare dal medico in Italia a una coppia di lingua diversa che decide di sposarsi ed eseguire la cerimonia in più lingue affinché tutti i parenti possano seguire la celebrazione.
In questo articolo, affronterò più dettagliatamente suddetto tema cercando di inquadrarlo con due macro aree o meglio “datori di lavoro” per così dire: le Istituzioni Internazionali e il mercato privato.
Facciamo chiarezza. Lavorare alle Istituzioni è forse l’ambizione di tutti noi interpreti: poter tradurre grandi politici, primi ministri, partecipare in qualche modo al processo decisionale nelle porte chiuse delle riunioni dei capi di stato e di governo, quelle riunioni in cui si decide il futuro dell’Unione Europea o del mondo intero. A chi non piacerebbe?
Dall’altra parte lavorare come interprete nel mercato privato significa che il tuo cliente è un giorno l’azienda metallurgica che produce bulloni e il giorno dopo l’ammiraglio che in una conferenza spiega lo smantellamento delle navi militari. Insomma: abbiamo margine di manovra.
Quali sono le differenze tra mercato privato e mercato istituzionale?
Per lavorare alle Istituzioni Internazionali come freelance (UE, Nato, ONU, ecc.) è necessario superare un esame di accreditamento estremamente complesso. Alle Istituzioni come regola generale si traduce verso la propria lingua madre (nel mio caso dall’inglese all’italiano e dallo spagnolo all’italiano); solo in rare occasioni e avendo una lingua B (nel mio caso lo spagnolo) davvero molto forte si lavora in retour (sempre nel mio caso: dall’italiano allo spagnolo).
Nell’articolo di oggi ci concentriamo sulle Istituzioni Europee: all’ONU per esempio, gli interpreti possono presentarsi all’esame solo se sono nativi di una delle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite (spagnolo, inglese, cinese, russo, arabo, francese): il cerchio di candidati si riduce fortemente e così le possibilità di accedervi. Per comodità e data la nostra lingua madre (italiano), parleremo quindi delle Istituzioni dell’Unione Europea.
Per i professionisti del settore linguistico (interpreti e traduttori, ma non solo) l’Unione Europea è il più grande datore di lavoro, quantitativamente parlando: garantisce un servizio di interpretazione da 24 lingue verso 24 lingue (seppur non sia obbligatorio in tutte le riunioni ma solo in alcune).
L’uscita del Regno Unito non ha comportato l’eliminazione dell’inglese dalle lingue ufficiali dell’Unione Europea, che restano 24. Tale scelta dovrebbe essere presa da tutti i governi dell’UE all’unanimità, non dimentichiamoci però che l’inglese è lingua ufficiale non solo nel Regno Unito ma anche a Malta e in Irlanda, sebbene questi due paesi al momento dell’adesione all’UE scelsero rispettivamente il maltese e l’irlandese come proprie lingue ufficiali in quanto l’inglese lo era già grazie al Regno Unito.
Alla luce delle 24 lingue ufficiali, immaginatevi la mole di lavoro con tutte le combinazioni linguistiche che ne possono derivare: ogni giorno per i tre Servizi di Interpretazione dell’Unione Europea (Parlamento, Commissione e Corte di giustizia dell’UE) lavorano migliaia di interpreti freelance o funzionari (in seguito a concorso). Come freelance, bisogna avere superato il test di accreditamento e si viene chiamati secondo necessità, nel secondo “si va in ufficio tutti i giorni” con un contratto fisso.
Accreditarsi presso le istituzioni
Per diventare interpreti accreditati bisogna iscriversi tramite pagina web e superare i concorsi indetti dall’EPSO (European Personnel Selection Office), l’ente incaricato della selezione del personale delle Istituzioni Europee. All’iscrizione al sito segue la richiesta per diventare interprete accreditato con determinate lingue: se si supera la prima scrematura, lo step successivo è un esame di interpretazione online. Passato anche questo step, manca “solo” l’esame a Bruxelles.
Essere così bravi da non venire bocciati non assicura però un posto di lavoro immediato, bensì l’entrata in una lista (database) dalla quale prima o poi (forse) verremo chiamati. Ah, mi sono dimenticata un dettaglio: il mercato delle Istituzioni è ormai saturo di professionisti con le lingue più “comuni” come inglese, italiano, spagnolo, francese, tedesco.
Per essere quindi “appetibili” e richiamare l’attenzione dei capi cabina delle varie Istituzioni l’ideale sarebbe presentarsi con lingue meno comuni come per esempio bulgaro, svedese, estone. Ma capite bene che per arrivare a un livello di lingua tale da poterci lavorare come interprete bisogna dedicare anni e denaro e forse dopo tanti anni di studio e università non proprio tutti se lo possono permettere o vogliono farlo.
Cosa fare allora una volta che il fatato mondo delle Istituzioni Europee sembra allontanarsi? Piangere per non poter incontrare Frau Merkel o Mr. Johnson? Per fortuna come dicevo all’inizio del mio articolo, per noi interpreti le strade del signore sembrano essere infinite, e se la porta istituzionale si chiude ci resta comunque quella del mercato privato.
Cosa significa lavorare nel mercato privato?
Con mercato privato intendiamo fondamentalmente tutto ciò che non sono istituzioni (UE, ONU ma anche governi, ministeri, ecc.). Per lavorare sul mercato privato non bisogna ahimè passare nessun test di accreditamento nè un concorso. Più facile quindi? Troppo facile direi: la nostra professione non ha un albo, il che significa che potenzialmente tutti possono improvvisarsi interpreti senza neppure avere una laurea in interpretariato di conferenza. Non vi è uno sbarramento all’entrata, è tutto libero come la natura stessa del mercato.
Come tutelarsi pertanto? Uno dei modi più sicuri che hanno i professionisti per tutelarsi è fare richiesta di iscrizione ad una associazione di categoria (AITI, AIIC, ANITI, ecc) che certifica in qualche modo il tuo essere un vero professionista in quanto hai superato la loro selezione e rispetti il codice deontologico.
Ma il mercato del lavoro è una giungla in tutti i sensi: non solo non si ha la certezza di competere con altri professionisti ma non vi sono dei criteri nemmeno per il modus operandi. Abbiamo la possibilità di lavorare con un cliente diretto o con un’agenzia che ci procaccia clienti, ergo i nostri competitors sono sia gli altri colleghi che le agenzie di interpretariato e traduzione (al contempo nostri procacciatori di lavoro).
Quali sono i criteri linguistici?
E per quanto riguarda i criteri linguistici? Anche qui non vi sono regole: se alle istituzioni vige la regola secondo la quale si lavora solo traducendo verso la propria lingua madre, sul mercato privato ogni interprete decide in che lingue offrire i propri servizi (io per esempio lavoro sul mercato privato anche verso lo spagnolo, cosa che in un eventuale contesto UE non potrei fare). Occorre segnalare che questo non è però ben visto da determinate associazioni di categoria che seguono la linea più “puritana” della traduzione solo verso la lingua madre.
Insomma, questa carrellata di informazioni che ho voluto trasmettere oggi soprattutto per i non addetti ai lavori spero possa essere stata utile per spiegarvi con qualche pillola alcuni aspetti meno conosciuti della nostra professione di interpreti e traduttori.
Se adesso vi starete chiedendo “ma chi ve lo fa fare?” vuol dire che il mio articolo è stato sufficientemente esplicativo: fare l’interprete è un lavoro un po’ pazzo con pochissima stabilità, tante incognite e tante sfide continue ma vi assicuro che non ci si annoia mai e l’adrenalina è all’ordine del giorno così come le soddisfazioni che arrivano dai clienti e a volte dai colleghi.
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