Autore: Luca Gastaldi

 

A volte si parla di predestinazione, a volte di piccoli incidenti di percorso.

C’è chi dice che bisogna lasciarsi guidare dall’istinto e procedere senza voltarsi mentre c’è chi pensa che non guasti mai darsi una sbirciatina alle spalle, fare il punto della situazione e chiedersi se le proprie scelte siano state giuste o sbagliate. Io non appartengo a nessuna di queste categorie. Anzi pensandoci, forse un po’ a tutte. Quello che posso dire con certezza è che se non avessi fatto almeno un po’ di tutto questo, ora non sarei qui a scrivere e penso di non essere mai stato così felice di scrivere un articolo.


La storia che mi ha portato a diventare un interprete è stata rocambolesca, tempestata di alti e bassi, domande e perplessità. Ormai non ho più dubbi su quello che sarà di me in futuro, ma cerchiamo, comunque, di procedere per gradi.


Fino a un certo punto il mio percorso scolastico è proceduto senza troppi sussulti. Tutto sommato mi sono lasciato trasportare almeno fino alla triennale.
Finite le medie ho intrapreso lo studio delle lingue, decisione fortemente caldeggiata dai miei insegnanti. Dopo il liceo sono venuto a conoscenza di quella che sarebbe diventata la mia futura università e anche in quella circostanza non ho esitato, perché l’indirizzo era decisamente in linea con le mie aspettative e con quello che avevo fatto fino a quel momento. Ovviamente avevo già un’idea del mio futuro professionale, ma ancora nulla di certo.
Durante i tre anni ha cominciato a crescere in me il desiderio di diventare un traduttore. I risultati mi soddisfacevano e non percepivo il lavoro a casa come oppressivo. Amavo davvero la disciplina, tanto da incentrare la mia tesi sulla traduzione dei libretti d’opera.


Per quanto assurdo possa sembrare, io non solo non pensavo a fare l’interprete, ma non lo volevo proprio o almeno così credevo.


Tre settimane prima (non scherzo) del test d’ingresso alla magistrale, qualcosa è cambiato. Nell’arco di una decina di giorni la vita del traduttore non faceva più per me e diventare interprete era diventato una vera e propria ragion d’essere.
Di solito ci si rende conto di quanto si tenga a qualcosa quando questa è attaccata a un filo.
Mi era stato riferito che il test di ammissione al corso di interpretazione era molto impegnativo e il numero ristretto metteva un certo timore. Di norma affronto i problemi con relativa serenità, ma quella volta c’era qualcosa di importante in gioco. In ogni caso l’esame è stato un successo e lì è cominciata la mia vita da interprete.
Fino a quel momento avevo effettivamente proceduto senza voltarmi, ma la mia smisurata passione per la professione ha instillato in me il seme del dubbio e ho cominciato a considerare le mie scelte passate. I due anni di magistrale sono stati i più lunghi e sudati della mia vita, ma anche i più densi di soddisfazioni.

Ora sono passati circa 3 anni da quel momento e non tornerei mai indietro nemmeno se potessi.
Si dica pure che è stato il caso o che è stato il destino. Poco conta! D’ora in avanti indietro non si guarda. Avanti tutta e si vedrà!

Questa però è solo la mia storia.


In linea di massima si tende a pensare che un interprete decida di diventare tale perché si pone l’obiettivo della comunicazione.
In tanti casi è vero, ma come avete visto, non nasce sempre tutto da un intento. Spesso sono eventi episodici che cambiano la vita.
Parlando con alcuni colleghi abbiamo raccolto altri aneddoti curiosi e interessanti che vale senz’altro la pena raccontare.

Tra i tanti, c’è chi la cui passione nasce molti anni addietro. In particolare Francesca, una collega, ha riportato che tutto è cominciato quando era ancora una bambina. L’inglese era già fonte di grande interesse, ma è stato proprio un episodio la scintilla. In seguito al racconto di un’insegnante il cui marito era interprete, ha deciso con grande determinazione che quella sarebbe stata la sua strada.

Giulia, invece, voleva davvero perseguire l’obiettivo della comunicazione. Leggendo libri e articoli non pubblicati in Italia, si era accorta che anche scambiare solo due chiacchiere a riguardo con gli amici non era semplice, così ha deciso di diventare traduttrice. È stato il primo impatto con la cabina a dare un indirizzo nuovo alla sua storia professionale. La vita dell’interprete è intensa e stressante, ma tanti amano l’adrenalina del mestiere tanto da non poterne fare a meno.

Addirittura c’è chi ha deciso di diventare interprete ispirandosi alla fantasia, come nel caso di Claudia. Nel classico Disney Le avventure di Bianca e Bernie c’è una scena in cui personaggi di tutto il mondo si riuniscono alla sede delle Nazioni Unite. Non spiegandosi come riuscissero a capirsi venendo da paesi diversi, Claudia chiede spiegazioni a sua madre, che le parla degli interpreti e lei si appassiona immediatamente.

Si tratta di storie molto diverse tra di loro, ma legate da un solo fil rouge: l’amore per una professione affascinante e ricca di misteri così come le lingue stesse.
A questo riguardo, per quanto diverso il retroscena, credo fermamente che nessun interprete, qualora dovesse leggere questo articolo, potrebbe trovare qualcosa da ridire.

 

 

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