
Nelle ultime settimane si è parlato molto dell’interpretazione consecutiva sul nostro blog.
Dalla collega Federica, che ha parlato dei contesti in cui si usa questa tecnica; a Ilenia, che ne ha illustrato i pro e i contro; fino a Martina che ci ha spiegato le “regole” di questa tecnica affascinante e Claudia che ci ha parlato delle sue insidie e difficoltà.
Nel mio articolo, invece, vorrei concentrarmi sui simboli veri e propri, come nascono e perché un professionista ne sceglie uno al posto di un altro.
Insomma, da dove vengono questi strani geroglifici?
I simboli “universali”
Innanzitutto devo premettere che, per quanto ci siano delle regole generali per la struttura della consecutiva, la produzione di simboli non segue nessun particolare schema. Almeno non nel mio caso, dato che ho quasi sempre seguito l’ispirazione dettata dal panico del momento.
È vero, ci sono dei simboli usati in modo più o meno universale, ma questo accade molto raramente. Un esempio sono i simboli per agricoltura e industria.
Il primi simboli mostrati sono i miei, seguiti da quelli delle colleghe Martina e Ilenia.
Come vedete sono tutti molto simili, per non dire identici.
Nei primi due casi, ciò è dettato dal fatto che abbiamo frequentato la stessa università e quindi c’è stata una formazione condivisa. In pratica sono un regalo che abbiamo ricevuto durante le primissime lezioni sulla presa di note e che abbiamo conservato gelosamente fino ad ora.
Sono certa che in origine siano stati adottati perché erano comodi, già pronti e, cosa più importante, risolvevano il problema di inventare un simbolo ex novo per queste due parole che comparivano di frequente nei testi per le esercitazioni.
Lo stesso vale per Ilenia, a cui ho chiesto ulteriori spiegazioni a causa del suo percorso universitario in parte diverso dal mio.
A quanto pare anche la collega li ha imparati durante le prime ore di consecutiva e sono entrati a far parte del suo repertorio per non essere mai più sostituiti.
Ogni regola ha un’eccezione
Tuttavia, può succedere che anche ex compagni di scuola sviluppino simboli diversi per lo stesso concetto. Un esempio sono quelli di Claudia e Fabiana, che hanno scelto qualcosa di meno astratto a livello visivo:
Come potete vedere Claudia ha scelto di usare un fiorellino per indicare l’agricoltura, mentre ha optato per qualcosa di più “comune” per l’industria.
Al contrario, in questi casi Fabiana usa un albero (perchè veloce da annotare) e una piccola fabbrica ispirata all’osservazione del mondo reale.
La vita di tutti i giorni influenza i simboli
Questa strana comunanza di simboli si può riscontrare anche in un concetto molto usato come “uomo”, “donna”, “maschio”, “femmina” anche se, in tutta onestà, mi è capitato di vedere numerose varianti.
Personalmente, ho optato per la classica distinzione tra maschile e femminile, perché mi sembrava semplice, immediata e soprattutto mi permetteva di concentrarmi sulla creazione di altri simboli.
A quanto pare non sono stata l’unica. Anzi! Di seguito potete vedere anche quelli usati dalle colleghe Giulia, Fabiana e Martina:
In alcuni casi nelle note dei consecutivisti si possono trovare anche elementi rubati ad altre discipline, come la matematica o la teoria degli insiemi.
Io stessa uso senza remore l’uguale (=) e, all’occorrenza, anche il simbolo che sta per “diverso da” (≠), poiché li trovo molto intuitivi e veloci da scrivere in ogni situazione.
Questi non sono gli unici simboli presi in prestito da un altro mondo altrettanto oscuro. Non è raro vedere usati quello di appartenenza (∈) o altri.
La nascita di un simbolo dalla lingua di lavoro
La nascita di tale linguaggio (passatemi il termine) è un processo molto personale che può essere influenzato da diversi fattori, uno su tutti le altre lingue di lavoro.
Proprio tramite questa contaminazione sono nati alcuni dei simboli che uso più spesso come, ad esempio, quello che indica “persone”, “gente”.
Una delle mie lingue di lavoro è il cinese da cui ho attinto a piene mani. Quello mostrato sopra è l’ideogramma per “gente, persone” (人) a cui ho aggiunto un cerchietto per dare l’idea di una testa e evitare di confondere il simbolo con uno scarabocchio casuale.
Non si tratta certo di un caso isolato.
Un altro esempio è quello di “economia” che, a essere onesti, è una parte di ideogramma (un radicale).
Quando mi sono trovata a dover parlare e scrivere di economia, mi sono messa alla ricerca di un simbolo che mi ricordasse una “e” senza esserlo veramente poiché la usavo già per “energia”.
Inoltre desideravo qualcosa che si potesse scrivere al volo per non perdere altri elementi fondamentali del discorso. Quindi ho optato per questo:
Nel mio caso, vengono dal cinese anche parole banali come “grande” e “piccolo” che però sono molto lunghe da scrivere durante una consecutiva:
Ma questo non succede solo con lingue composte da ideogrammi
I mie colleghi hanno lingue di lavoro molto variegate, ho potuto constatare che, in qualche modo, anche loro le hanno usate per creare simboli nuovi.
Claudia e Fabiana hanno preso ispirazione dal francese per i prossimi vocaboli che sono, rispettivamente, rendez-vous (appuntamento) e engagement (impegno):
In particolare, stando alla collega Fabiana, l’ultimo sarebbe un pugno che vuole sottolineare l’impegno, la determinazione posta da qualcuno nello svolgimento di un dato compito.
Quindi, oltre che da una parola in una lingua straniera, si sarebbe ispirata a un’immagine mentale dell’engagement.
Giulia, invece, ha creato alcuni dei suoi simboli partendo da due lingue molto diverse come il tedesco e il giapponese:
Martina per “affinché” usa un simbolo tratto dalla parola russa чтобы.
La scelta è ricaduta su questo vocabolo perché il significato aderiva a quello dell’italiano alla perfezione e soprattutto era facile da prendere in velocità durante una consecutiva.
In particolare ha ridotto la parola a una sola lettera б:
Associazioni mentali tra parole e immagini
Nel corso dei miei studi e della mia carriera, mi è capitato anche di inventare simboli per parole o concetti apparentementi inutili o che comunque si usano molto poco.
Un esempio è quello che uso per “gestante”. Per me si tratta di un chiaro caso di associazione tra la nota e la forma di una donna in stato interessante:
Come potete vedere, in questo caso non sono l’unica che ha associato immagine e simbolo. Le variazioni sul tema sono davvero minime:
Per concludere, ecco una carrellata di simboli interessanti e dalle origini particolari che mi sono stati mostrati:
In questa immagine potete vedere uno dei simboli usati dalla collega Giulia.
Come ci spiega nella descrizione, questo segno viene usato per indicare il verbo “pensare” e il concetto di “pensiero”. La particolarità è che si tratta del simbolo fonetico usato nell’alfabeto IPA per indicare il suono ou di “thought”.
Una scelta dettata sia dall’aderenza al concetto e alla parola, che dai corsi frequentati all’università. In fondo si tratta di un modo come un altro per metterli a frutto!
Le fusioni
Sempre da Giulia mi arriva questa fusione:
Come potete vedere più sotto, si è formata dall’unione di “cibo” e “agricoltura”:
Rimanendo in tema di fusioni, eccone una della collega Fabiana che ci mostra quali sono stati gli elementi che hanno dato origine al simbolo finale e che vengono anche usati singolarmente:
Insomma, a questo punto è chiaro che non esiste una regola generale per la produzione dei simboli: basta una buona dose di fantasia e un po’ di memoria per ricordarli quando servono (e fidatevi, non è così scontato!).
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