Autore: Martina Pozzi

 

Non è necessario conoscere una lingua straniera per fare l’interprete.

Pensate che questa affermazione sia azzardata? Affatto! Se è vero che per poter svolgere la professione di interprete bisogna possedere solide conoscenze linguistiche sia della lingua da cui si traduce che di quella verso cui si lavora, oltre che un’adeguata dimestichezza delle tecniche di interpretazione (ecco perché non basta essere bilingue), è altrettanto vero che si può fungere da interpreti e mediatori anche in contesti più informali, ossia con famiglia e amici.

 

Questo grazie alla “sola” conoscenza di un dialetto, che come abbiamo già evidenziato qui, può essere considerato a tutti gli effetti una lingua e in tanti vocaboli e strutture assomiglia alle più comuni lingue europee.

Per questi motivi, ci si ritrova spesso nella situazione in cui due o più persone parlano un dialetto sconosciuto al resto degli astanti, che si esprimono in italiano o in un altro dialetto. Questa è una circostanza simile alle conferenze o ai grandi eventi per cui è necessario ingaggiare un interprete, e pertanto a volte risulta altrettanto difficoltoso comprendersi e potersi interfacciare con gli altri. In questi casi fa comunque comodo avere qualcuno che ci aiuti in questi compiti, ed è quello che io stessa mi sono ritrovata a fare ben prima (o comunque al di fuori) dell’ambiente lavorativo.

 

Il primo e più lampante esempio riguarda la mia sfera personale.

Sono nata e cresciuta in Brianza, e per i miei nonni è sempre stato normale esprimersi in dialetto almeno con i membri della famiglia. Il loro mondo è però stato sconvolto il giorno in cui ho presentato loro il mio fidanzato, che è invece di Bergamo.
Per i miei nonni è difficile non parlare in dialetto in un contesto come quello familiare, ma il povero malcapitato non sempre comprende quello che loro vogliono dirgli. I due dialetti non sono poi così diversi, sicuramente anche per vicinanza geografica; ma non simili a tal punto da permettere una comprensione totale di quanto pronunciato dal parlante dell’altra area geografica.
Spesso gli anziani della mia famiglia non sono in grado di esprimere lo stesso concetto in italiano, perché non hanno le parole per parafrasarlo o perché è un modo di dire che non si può rendere con le stesse parole in italiano; ed è quello il momento in cui lo sguardo smarrito del mio ragazzo mi spinge ad intervenire per fargli capire cosa i miei nonni volevano comunicargli.
Di contro, la stessa situazione si verifica quando sono io a non comprendere quanto espresso in dialetto dalla sua famiglia. In quei momenti è il mio fidanzato a “rubarmi il lavoro” e a spiegarmi in italiano quanto era stato detto in dialetto.

Lo stesso fenomeno si è verificato molte volte anche durante gli anni universitari, dove le mie compagne fuorisede a Milano non sempre capivano parole e concetti che io ed altre ragazze dell’area del milanese trovavamo molto più comodo esprimere in dialetto. Una scena molto simile a quella della cadrega nel famoso film di Aldo, Giovanni e Giacomo! Ci siamo ritrovate più volte a dover ripetere quanto già detto, o ad improvvisarci interpreti per spiegare alle compagne cosa avevamo in mente con la particolare espressione dialettale appena pronunciata.

 

Questi episodi sono tutti successivi alla mia scelta di intraprendere gli studi per diventare interprete. Paradossalmente sono state invece vicende molto simili, ma sempre legate al contesto familiare, a risvegliare in me questa passione.

Il primo ricordo che ho risale al 2011, avevo quasi 18 anni e nel periodo pasquale era venuta a trovarmi in Italia la famiglia tedesca che mi aveva ospitato per un mese in Germania l’estate precedente. La mia famiglia, purtroppo, non parla tedesco (mia mamma lo capisce un po’ ma non lo parla più da anni); i tedeschi naturalmente non parlano italiano.
Durante tutta quella giornata, dal pranzo al ristorante fino al pomeriggio di visita di Milano, mi sono ritrovata a fungere da interprete tra i miei genitori e i miei “genitori adottivi”. E quasi come una professionista non ho solo dovuto permettere la comunicazione, ma anche far fronte alle sfide culturali; nel momento in cui i tedeschi hanno chiesto una pizza all’ananas, ho dovuto sia far capire loro che in Italia tale piatto non esiste, sia spiegare ai miei inorriditi genitori che nella cultura tedesca è una richiesta perfettamente normale.
In ogni caso quella giornata, stancante ma soddisfacente, è stata fondamentale per farmi comprendere quale sarebbe stata la mia strada professionale.

Un paio di anni più tardi, invece, sono state le mie competenze in inglese a venire letteralmente in soccorso della mia famiglia: durante una vacanza in Egitto mio fratello ha contratto una malattia per cui è stato necessario ricorrere a un medico locale. Mio padre, che parla inglese solo a livello scolastico, ha avuto bisogno di me per far capire al medico i sintomi e l’età di mio fratello e per comprendere la cura, le dosi e le prescrizioni del professionista.

 

Questi sono gli episodi che ho vissuto io, ma sono certa che molti di voi abbiano sperimentato vicende simili. E se chiedete ad amici, parenti o conoscenti, sicuramente vi racconteranno qualcosa di molto simile a quanto appena letto.

Questi contesti possono essere una buona palestra per sviluppare competenze e fare esercizio, se siete interpreti professionisti, o semplicemente per dare prova delle proprie capacità e sentirvi “interpreti per un giorno” se nella vita svolgete un altro lavoro e/o avreste sempre desiderato diventare interprete o traduttore. O come nella mia esperienza, potrebbero contribuire a far maturare in voi una precisa scelta professionale.

Questo articolo non vuole sminuire il valore della figura dell’interprete professionista, ma provare a raccontare tutti gli altri contesti in cui ci si può improvvisare tale senza esporsi a rischi. In conclusione, quindi, vorrei ribadire nuovamente l’importanza e la necessità di affidarsi a un interprete professionista per eventi ufficiali. Non serve essere un professionista per poter fungere da ponte linguistico in famiglia o con amici, ma è necessario essere un professionista per poter lavorare come tale!